di Frà Alexis Bugnolo
Scrivo questo post per ringraziare pubblicamente il Mons. Juan Ignacio Arrieta Ochoa de Chinchetru, Vescovo titolare di Civitate, nominato da Sua Santità Papa Benedetto XVI segretario del Pontificio Consiglio per l’interpretazione dei testi legislativi.
L’ho incontrato l’11 Dicembre, 2019 alle 9.45. L’incontro è durato circa 75 minuti. Non ho registrato l’incontro, ma voglio condividere con tutti ciò che ricordo di esso, per la sua grande importanza per la vita della Chiesa cattolica.
Ho iniziato dicendo che ero venuto a discutere l’interpretazione del diritto (interpretatio iuris) o più precisamente il diritto di interpretare atti canonici (ius interpretandi). Il vescovo Arrieta è un esperto in questa materia, avendo prestato servizio come professore di diritto canonico dal 1984 presso la Pontificia Università di Santa Croce, e dal 2003 al 2008 alla Presidenza dell’Istituto di diritto canonico “San Pio X” a Venezia, e come canonista della Penitenzieria Apostolica. Dal febbraio 2007 è stato al Pontificio Consiglio come Segretario del Pontificio Consiglio. Questo titolo non significa che egli è segretario, ma piuttosto, per così dire, vicepresidente del Consiglio.
Voglio sottolineare la dolcezza e il comportamento nobile del Vescovo, che non ha mai usato i ad hominem, non ha mai perso la pazienza e si è mostrato disponibile a discutere le questioni più impolitiche nella Chiesa dal punto di vista del diritto canonico.
Ho iniziato le mie domande con una prefazione, e con il permesso del Vescovo gli ho letto tutto il mio articolo, intitolato ¡Viva Guadalajara!
Durante la lettura, il Vescovo non poteva nascondere il suo divertimento di fronte alla storia fittizia, ma quando mi sono mosso verso i miei commenti su come questa storia si applica non solo ai primi momenti di un papato, ma anche all’ultimo, cioè ad una rinuncia papale, il divertimento sul suo volto è scomparso istantaneamente. – Tuttavia, continuò ad essere educato.
Mi ha confermato i seguenti fatti:
- A sua conoscenza, nel febbraio del 2013 non ci sono stati incontri di canonisti che hanno discusso la validità dell’Atto di rinuncia, né se una rinuncia del ministerium ha effettuato una rinuncia al munus.
- A sua conoscenza, papa Benedetto XVI non ha mai spiegato a nessun cardinale o canonista in privato se il suo atto ha effettuato una rinuncia al munus petrino o all’ufficio papale.
- A sua conoscenza, nessun atto di interpretazione della rinuncia è mai stato promulgato da papa Benedetto XVI.
- Mons. Arrieta ha ammesso che gli sono state poste domande sulla rinuncia, l’11 febbraio 2013, ma nessuna domanda riguardava l’uso del termine ministerium invece che munus.
Mi ha confermato anche questi punti di diritto:
- Se qualcuno avesse sentito Papa Benedetto XVI nel febbraio del 2013 spiegare o interpretare ufficialmente il suo Atto di rinuncia come atto di rinuncia al munus, e avesse lasciato una testimonianza giurata del fatto, questo non avrebbe alcun valore giuridico. Cioè non farebbe o altererebbe il significato se non lo fosse.
- Un atto di rinuncia papale non è soggetto all’interpretazione di nessuno nella Chiesa. Cioè, nessuno ha il diritto di interpretarlo.
- Un atto di rinuncia papale, quindi, deve essere certo di per sé. Se non è certo, non è valido.
- Non c’è un canone nel Codice di Diritto Canonico che prevede il termine ministerium di un ufficio ecclesiastico.
- Ciò che Arcivescovo Ganswein ha detto all’Università Gregoriana – Mons. Arrieta ha ammesso di non aver letto il testo di Ganswein per intero o nell’originale – è impossibile, perché l’Ufficio Pontificio è teologicamente incapace di essere tenuto da più di un uomo alla volta.
- È canonicamente impossibile che due persone trattengano l’ufficio papale contemporaneamente.
- La Curia romana partecipa al Ministerium petrinum, ma non al Munus petrinum.
- Può esserci un solo papa.
- Il Papa è soggetto alla legge divina e non può condividere il suo ufficio.
- Il Canone 1331 §2, n. 4 permette ad una persona scomunicata di avere un ministero nella Chiesa, ma che c’è una riforma del Codice Penale nelle opere e che questo è qualcosa che verrà affrontato.
- Il Canone 332 §2 richiede una rinuncia verbale, non una rinuncia che è significata dai gesti o dopo le dichiarazioni di fatto.
- Il principio teologico e giuridico supremo per l’interpretazione degli atti canonici è l’insegnamento di Gesù Cristo, dove diceva: “Che il tuo sì sia sì, e il tuo no, no, qualsiasi altra cosa viene dal diavolo” (Mt 5,37).
Ora, il vescovo Arrieta non era d’accordo con me in tutto. Mi ha detto chiaramente che egli sostiene le seguenti posizioni:
- La rinuncia di papa Benedetto era certa e chiara.
- La rinuncia significava chiaramente la rinuncia all’ufficio del papato.
- È moralmente impossibile a giudizio del vescovo Arrieta, in base alla sua conoscenza dell’uomo, Ratzinger, che papa Benedetto intendeva ingannare chiunque fingendo di dimettersi da una cosa invece dell’altra.
- Il Canone 332 §2, per quanto riguarda i requisiti di libertà e di debita manifestazione, non parla di una rinuncia al munus.
- La necessità in una rinuncia papale è una rinuncia all’ufficio papale, non al munus petrino, che è un termine canonico che non riflette adeguatamente la realtà teologica.
- Nel Codice di diritto canonico non c’è una chiara distinzione tra munus e ministerium.
Riguardo a questa quarta posizione del Vescovo, devo dire che ho cercato di ottenere una parola a margine per obiettare a tale affermazione palesemente falsa, come se le condizioni di validità di un atto di rinuncia al munus riguardassero solo l’atto di rinuncia e non l’oggetto cui si deve rinunciare. Credo che il Vescovo l’abbia appena detto per disperazione perché è logicamente assurdo in faccia, perché non si può leggere una parte di una frase nel canone che riguarda le condizioni di validità e ignorare ciò che è stato detto al inizio del canone come condizione fondamentale per il verificarsi o il discernimento del verificarsi dell’atto in questione!
Quanto alla quinta posizione, non sono d’accordo, perché Papa Giovanni Paolo II, Vicario di Cristo, promulgando il Codice ha imposto a tutta la Chiesa l’obbligo canonico di comprenderlo secondo il Canone 17, non come difettoso in nulla. Pertanto, un’interpretazione del canone 332 §2 che implica un difetto, non può essere autentica.
Non risponderò qui al n. 6, poiché l’ho devastantemente confutato nel recente Convegno Accademico a Roma, di cui ho pubblicato un estratto proprio su questo argomento, qui.
Ciò che mi ha lasciato insoddisfatto della nostra conversazione è che ho fatto molte domande, ma Mons. Arrieta non poteva darmi delle risposte. Ecco alcune delle mie domande, non testualmente, ma secondo il loro senso, che il Vescovo non ha risposto o non ha potuto rispondere:
- Se è chiaro che papa Benedetto si è dimesso dal suo ufficio, può spiegarmi canonicamente come ha fatto se non ha mai menzionato una rinuncia all’ufficio o al Munus petrino?
- Se il Canone 41 dà ad ogni sacerdote la discrezionalità e il diritto di valutare l’Atto di rinuncia papale prima di decidere di smettere di nominare Benedetto nel Canone della messa, come Papa, perché è canonicamente sbagliato se egli esercita questa discrezione, giudicare l’atto nullo e continuare a nominare Benedetto?
- Se nessuno ha il diritto di interpretare l’Atto papale, come si può spiegare perché quasi tutti nella Gerarchia ritengono che Papa Benedetto abbia operato una rinuncia all’Ufficio papale, se egli ha detto in nessun punto dell’Atto che “io rinuncio” all’ufficio o al munus? Non è la loro posizione un’interpretazione?
- Mentre sono disposto a concedere per rispetto a papa Benedetto che egli non intendeva maliziosamente ingannare, non è possibile che fosse in errore sostanziale quando si è dimesso da una cosa e non dall’altra?
- La nostra fedeltà a Gesù Cristo, Che si è impegnato ad osservare il diritto canonico, non ci impone di considerare quale possibile che il Papa sia in errore nel pensare di potersi rassegnare parte delle prerogative papali e mantenere il resto? o ha sbagliato nel voler biforcare il papato?
- I fatti storici che 1) Papa Benedetto XVI prima della sua elevazione al Papato sapeva dei desideri di molti teologi tedeschi di dividere l’ufficio papale secondo le linee del munus petrino e del ministero petrino, e 2) lo strano modo di rinunciare al ministero, ma non al munus, insieme a 3) la testimonianza di Ganswein suo segretario personale, che dovrebbe conoscere la mente del Santo Padre, non produrre la più solida testimonianza forense che il Papa ha intenzione di biforcare l’Ufficio Papale e dovrebbe essere corretto dalla Chiesa, anche se riteniamo personalmente che egli non aveva tale intenzione a titolo di supposizione e rispetto per la sua persona?
Il Vescovo ha concluso sottolineando che il mio approccio alla lettura dell’Atto di rinuncia è stato per lui strano, che non ha mai considerato questo problema prima, che non ha mai letto questa controversia, ma che gli ho dato “molto a cui pensare”.
CONCLUSIONE
La somma di quello che mons. Arrieta mi ha detto che mi porta a concludere quanto segue:
- L’Atto di rinuncia si presumeva fin dall’inizio come una rinuncia al Papato, senza considerare la discrepanza di rinunciare al ministerium invece che al munus, come se il Codice del 1917 fosse operativo, e non il Codice del 1983.
- Non c’è mai stata una riflessione canonica sul valore canonico dell’Atto di rinuncia da parte di chiunque conosciuto al vescovo Arrieta.
- Non ci sono argomenti canonici per la validità della rinuncia ad effettuare una perdita dell’Ufficio Pontificio, perché l’interpretazione è semplicemente una presunzione basata su un metodo estrinseco di lettura dell’atto (come ho sottolineato nel mio precedente articolo), che è il metodo di interpretazione più non autentico e più soggetto ad errori.
- L’opinione di nessun Cardinale o Vescovo o Sacerdote su questa materia costringe chiunque nella Chiesa ad accettarla, perché nessuno ha il diritto di dire che l’Atto papale ha un significato diverso da quello che dice espressamente.
- Così, la rinuncia di Papa Benedetto NON ha avuto effetto sulla perdita dell’Ufficio Pontificio. Egli rimane il Papa, il Successore di San Pietro, il Vicario di Cristo, il Sommo Pontefice e il Romano Pontefice con tutti i diritti e privilegi, tutte le prerogative e i poteri, le grazie e i carismi, PERCHE’ SE NON SI RINUNCIA AL PAPATO PER PAROLE, NON C’E’ UNA RINUNCIA AL PAPATO!*
Infine, voglio ringraziare il Vescovo per la sua pazienza. Più volte nei 75 minuti che abbiamo speso a discutere di questa questione più importante, ha osservato che aveva altri doveri, ma è rimasto comunque quando quello che ho detto era sostanziale e ha presentato una linea di argomentazione che ha ritenuto necessario per rispondere.
(Per maggiori informazioni vi raccomando la lettura della mia Quaestio Scholastica sulla controversia)
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* Per coloro che non hanno familiarità con il linguaggio tecnico, in questa controversia, il termine “papato” qui non si riferisce né al Vaticano, né allo Stato o agli Stati o Territorio Pontificio, né al governo del Vaticano, ma all’Ufficio del Romano Pontefice. E qui uso questo termine in senso linguistico, non nel senso della cosa, ma della cosa come viene chiamata. Per esempio, un marito si riferisce a sua moglie con uno dei suoi nomi propri, primo, medio, ultimo o improprio, come dolcezza, carissima ecc., oppure con un pronome da solo o seguito da una frase subordinata, come “colei che fa i piatti”. Se dice che mi sbarazzerò del lavaggio dei piatti, della pulizia del bagno, della preparazione dei pasti e del letto caldo, non ha fatto riferimento né logicamente né verbalmente alla moglie, perché le azioni che compie la moglie o gli effetti di cui è causa non sono lei, sono effetti o azioni sotto il suo potere, e nominando le azione non si indica necessariamente o determinatamente colei che è sua moglie. – Così pure, quando papa Benedetto ha rinunciato al ministero, ma non all’Ufficio Pontificio, non ha rinunciato all’Ufficio, perché non lo ha nominato, si è riferito solo a quello che potrebbe essere interpretato come il ministero che ne deriva. L’incapacità intellettuale o incapacità di riconoscere questa legge comune del linguaggio e del significato umano è al centro della ragione per cui molti pensano che Benedetto si sia dimesso dal pontificato, quando in realtà non ha fatto nulla del genere. Tuttavia, il motivo per cui ha fatto ciò che ha fatto, è oltre al punto (praeter rem), perché qualunque siano le sue motivazioni, l’atto rimane invalido, nullo.